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ARTE


La sua pianta è a croce greca con cupola centrale rotonda; i quattro nicchioni, che formano i bracci della croce, sono alternati a quattro "torri" o meglio cappelle angolari a pianta quadrata.

All'esterno cupola e cupolino con loggiato e finestre architravate, balaustra con statue settecentesche al di sopra delle cappelle e dei nicchioni, sormontati da altre statue, volute, acroteri, vasi, ecc.

Ventiquattro oculi abbinati, che ripetono quelli di San Giovanni, sei per ogni abside, stanno fra due cornici al di sopra di alte paraste con capitelli in biancone di ordine composito, a foglie, volute e ornati, finemente scolpiti da Giovan Francesco D'Agrate su disegno di Marcantonio Zucchi.

Nelle quattro "torri" sono semplici finestre rettangolari "di ragion dorica" al piano terra, "di ragion ionica", con transenne traforate di vario tipo, al primo piano, eseguite in gran parte su disegno di Giovan Francesco D'Agrate, da Paolo da Porlezza e aiuti; questi fecero anche le bifore, due per ogni abside, con arco a pieno centro su capitelli ionici scanalati e colonne in breccia di Verona.

Di un classicismo più tardo e freddo è il gran portale d'ingresso con grosse colonne composite sorreggenti il frontone triangolare, derivato dalle porticine interne del D'Agrate, ma eseguito nel 1546/47 dal maestro Ambrogio Volpi da Casalmonferrato ed aiuti.

Fa contrasto a tanto classicismo, il "coro", situato dalla parte opposta, con finestre mistilinee in cotto includenti vasi; ove però la nota cinquecentesca è richiamata dai capitelli originali del D'Agrate ricollocati, ma abbinati, nel nuovo coro.

L'interno, armonioso nella pianta - ideata dagli Zaccagni che portarono la costruzione fino agli oculi - dove la croce greca risulta più evidente che all'esterno, perché le "torri" di forma ottagona sono chiuse, è scandito da paraste su alto stilobate che reggono la trabeazione, al di sopra della quale si aprono gli oculi ripetenti il ritmo tondo dei nicchioni, della cupola, ecc.

Tutta la parte decorativa è, come per l'esterno, di Giovan Francesco D'Agrate, su disegno del quale sono stati eseguiti anche gli Otto portali di accesso alle cappelle con frontone triangolare su colonne composite poggianti su alto piedritto (e probabilmente anche la parte lignea con rosoni e ornati), le bifore, gli stilobati delle paraste, ecc.

Il Coro, di forma ovata, con il ricchissimo altare barocco iniziato da Mauro Oddi e compiuto dal 1758 al 1765 da Andrea e Domenico della Meschina, ha aspetto scenografico in contrasto alla pura linearità del resto della chiesa.

La Sagrestia Nobile, rettangolare, con abside a scarsella e volte a botte e a vela, è resa più maestosa dai ricchissimi armadi che coprono tutte le pareti.

Il sotterraneo, adattato a sepolcreto dei Farnese e dei Borbone, con volte a crociera rette da due colonne doriche, è di una semplicità spoglia, d'impronta neoclassica.

Nonostante le aggiunte seicentesche e settecentesche nella struttura e nella decorazione, prevale, anche nell'interno, l'aspetto rinascimentale, in quanto l'allungamento del santuario è seminascosto dietro i piloni sorreggenti l'abside terminale, e la decorazione a fresco delle quattro absidi e dei sottarchi antistanti, come della cupola centrale, è opera, artisticamente legata, dei maggiori pittori operanti qui tra il 1530 (anno in cui Correggio lascia Parma per tornare alla sua città natale) ed il 1570.

La decorazione della chiesa doveva, nell'intento dei fabbriceri, essere affidata, in tutto o in parte, al Parmigianino appena tornato da Bologna (1531), di cui si conservano qui due ante d'organo cori "David" e "S. Cecilia", opere del periodo giovanile e in seguito allargate a cura del fiammingo Jan Sons nel 1581 per il nuovo organo, per il quale fece anche le ante interne.

Il senso del ritmo caratteristicamente manieristico del Mazzola era perfettamente consono all'armoniosa costruzione a croce greca, tutta una rispondenza di archi, volte a botte, cupole, absidi e bifore centinate. La decorazione che il pittore s'impegna ad eseguire nel contratto del 10 maggio 1531 comprendeva "nichiam et fassiam", cioè l'abside ed il sottarco dell'altare maggiore che avrebbe dovuto finire in diciotto mesi; ma, come dice il Vasari, egli cominciò "come più facile", dal sottarco a cui lavorò con intermezzi e riprese per ben dieci anni, lasciando poi l'opera incompiuta, anzi appena a metà, perché dell'abside nulla rimane se non qualche disegno.

Numerosissimi sono invece gli studi per il sottarco, testimonianza delle sue incessanti, ansiose ricerche, nei quali l'artista propone le soluzioni più disparate: studi per le canefore, per i monocromati, per le figure fra i riquadri dei cassettoni, per i cammei, gli ornati, schizzi per le grandi rose in rame sbalzato. Da queste complesse meditazioni nasce, alle due estremità, la decorazione pittorica con tre "Vergini" per ogni lato che reggono lampade e portano anfore sulla testa, sei figure statuarie e solenni sul fondo di porpora e d'oro, ove il ritmo delle pieghe, tese o avvolte, si adegua a quello dei corpi slanciati e dei volti, segnati con finezza di cammeo da un pennello aggirante e veloce e rilevati con sottili lumi di biacca, e s'intona a quello dei tondi rosoni, dalle rigide foglie lanceolate, ai festoni di frutta e fiori, alle teste di ariete, granchi, colombe, nudi sorreggenti fronde e rose e agli aurei monocromati disposti nei quattro angoli con "Adamo" ed "Eva", "Mosé" ed "Aronne".

In quest'opera il pittore raggela il movimento improvviso, le figure divengono statuarie e solenni, levigate e polite, lontane dalla fluida atmosfera in cui si muovono e respirano i personaggi vivi del Correggio che, dieci anni prima, nella cupola del Duomo, aveva accentuato fino al parossismo e al tripudio il movimento più vorticoso e la incommensurabile profondità del cielo, in uno "sfondato" che sarà esemplare per la pittura barocca.

E questa l'ultima fatica del Parmigianino e la conclusione di un dramma che la tradizione ascrive alla pazzia causata dalle ricerche alchimistiche dell'oro, e che è invece il risultato ultimo di una costante e insieme disperata ricerca di perfezione.

Estromesso il Mazzola dalla Steccata e chiamato a sostituirlo, prima Giulio Romano (che si limita a dare un disegno, poi Michelangelo Anselmi, viene finalmente eseguita nel 1541 l'abside dietro l'altare maggiore con l'"Incoronazione e Santi", in parte rifatta dallo stesso Anselmi nel 1548 per le ingiunzioni e i contrastanti apprezzamenti dei confratelli della Steccata, ma sempre seguendo la sua ispirazione e le sue propensioni volte soprattutto al Correggio; mentre nella "Adorazione dei Magi" dell'abside opposta, ultima sua fatica, coi quattro profeti entro nicchie dell'arcone antistante (1554-1556), il profondo paesaggio ed il senso corale della composizione rivelano l'ultima svolta dell'arte dell'Anselmi.

La decorazione del sottarco con le figure statuarie è stata poi compiuta, dopo la sua morte, da Bernardino Gatti.

Quasi contemporanea a questa è la decorazione delle due absidi, coi relativi arconi, posta a nord e a sud, la prima eseguita dal 1549 al 1553, raffigurante la "Pentecoste" con le canefore, i rosoni, gli ornati e figure monocrome nel sottarco a continuazione di quello del Parmigianino e l'altra, iniziata nel 1553, ma finita solo nel 1567, con la "Natività", e le stesse decorazioni nell'arcone di quello opposto, eseguite da Gerolamo Bedoli Mazzola che rivela qui, con le propensioni per la ricerca plastica, il contatto avuto a Mantova con Giulio Romano ed il Penni tanto nei taglienti effetti luministici come nel punto di vista ribassato.

 

 

 

 

 

 

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Arte

La Cupola

L'Abside Sud

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L'interno del Santuario

Organo in presbiterio

Sottoarco e Cupola

Decorazione Sottarco

L'affresco della Cupola

Sagrestia Nobile

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Paliotto

Reliquiario della Croce

Sacri arredi

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La pietà Memoria di Maria Luigia

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Santuario Santa Maria della Steccata - Parma
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